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Venga con noi

SCHEDA TECNICA TITOLO: "Venga con noi. Dagli attentati del '69 a Piazza Fontana" AUTORE: Clara Mazzanti EDITORE: Colibrì Edizioni GENERE: Autobiografico - Storico PAGINE: 312

DESCRIZIONE Aprile 1969, Clara Mazzanti viene prelevata dalla sua casa, portata all'Ufficio Politico della Questura di Milano e interrogata dal Commissario Calabresi e dalla sua squadra. Novembre 1969, viene arrestata e rinchiusa nel carcere milanese di San Vittore con il suo compagno, Giuseppe Norscia. L'illusione che si fosse trattato di un equivoco si dissolve velocemente. Viene processata per strage come possibile esecutrice di uno degli attentati dinamitardi avvenuti nel 1969. Il processo vede incriminati, Norscia, gli anarchici Tito Pulsinelli, Paolo Braschi, Paolo Faccioli e Angelo Pietro Della Savia; Giangiacomo Feltrinelli e la moglie Sibilla Melega sono accusati di falsa testimonianza. I personaggi sono tanti, il giudice Antonio Amati, Antonino Scopelliti, pubblico ministero, Enzo Tortora e tanti altri. Nella sezione femminile del carcere di San Vittore Clara prende gradualmente coscienza delle dinamiche e della condizione delle detenute, documentando un'epoca che precede le prime vere cronache sulle donne carcerate e ci rende partecipi, oltre che del suo calvario, di uno spaccato della società e dei costumi dell'Italia degli anni '50 e '60. RECENSIONE Oggi voglio parlarvi della mia ultima lettura "Venga con noi. Dagli attentati del '69 a Piazza Fontana" di Clara Mazzanti.

Ma più delle sue sofferte dichiarazioni, oggi ricordo soprattutto la successiva abbuffata di tagliata al ristorante, abbondantemente innaffiata di Chianti. Siamo diventati amici, io e Clara. Ed è un'amicizia che mi onora.

L'autrice è anche la protagonista delle vicende descritte in questa lettura e racconta, in particolar modo, i duri anni della sua ingiusta detenzione.

Mentre i pensieri andavano e venivano in ordine sparso e confuso, per poi confluire tutti assieme in una specie di centrifuga e mentre io mi sentivo stanchissima, sia nel fisico che nel morale, mi resi conto che stavo salendo le scale, sempre scortata dalla tizia bla-bla.

Inizia tutto con quel "Venga noi", frase diventata anche titolo del libro, con cui la giovanissima Mazzanti viene invitata a seguire i poliziotti verso la Questura di Milano nel 1969. Da quell'istante, inconsapevolmente, sarà vittima della giustizia, che con lei è stata ingiusta.

Quanti giorni erano passati? Quanti giorni avevo vissuto nell'ignavia, essendomi venute meno la volontà e le forze?

Il periodo di detenzione viene descritto in modo molto emozionale: da una prima sensazione di smarrimento, si può notare poi la rabbia, la frustrazione, l'adattamento a questo nuovo e difficile stile di vita.

O forse cercava di sembrare serena, per confortarmi. Ed era così. In cuor mio, le ero e le sono grata per quei silenzi di mamma.

Le emozioni continuano ad alternarsi, a ritornare continuamente, a coinvolgere il lettore, a infondergli un desiderio di veder davvero trionfare quella giustizia che sembra non esistere.

Finito l'isolamento, per me non cambiò molto: porta di legno aperta, così potevo vedere chi passava in corridoio, ammesso che uno avesse voglia di guardare; sportello sempre spalancato, anche quando la porta di legno veniva chiusa, la sera; cella aperta nelle ore previste; possibilità di andare da soli a prendere la minestra (minestrone o pastasciutta) in fondo al corridoio, di recarsi senza guardia del corpo in cortile all'aria e in bagno o da altre parti, di parlare con le detenute. Si apriva così la possibilità di costruirsi delle abitudini e delle relazioni, una specie di vita sociale deformata.

Clara Mazzanti si mostra sia come una donna comprensibilmente fragile nella fredda cella di un carcere, sia come una donna forte che, nello stesso ambiente angusto, desidera solo lottare per uscirne e non si vuole arrendere.

Capii che quell'abulia mi avrebbe portato ad un degradante abbruttimento fisico e psicologico, trascinandomi in una spirale di non ritorno. E lo scopo della mia vita non era certamente quello.

Vengono altresì descritte molte altre figure femminili, vicine alla Mazzanti nella detenzione in carcere. Sono donne con trascorsi ed esperienze molto diverse fra loro, ma simili nei sogni e nelle emozioni. Queste figure mostrano anche gli usi, i costumi, i pregiudizi e i desideri delle donne negli anni '60 e '70 nel nostro Paese.

Ricordo solo un'angoscia senza eguali, il pensiero delle lacrime dei miei genitori in una ricorrenza così familiare, della loro disperazione viscerale nel sapermi chiusa lì, con uno spadone di Damocle pendente sulla testa. Tutto distrutto e sgretolato.

Analizzando lo stile dell'autrice, mi trovo ad essere un po' combattuta nel dare un giudizio: i fatti riguardanti il periodo di reclusione sono espressi in modo molto semplice, limpido, familiare, carico di emozioni; i fatti riguardanti il processo, invece, sono spesso fin troppo tecnici, rendendo talvolta difficile la lettura. Tuttavia non posso escludere il fatto che l'autrice abbia certamente voluto presentare al lettore delle descrizioni anche oggettive del processo, corredate di articoli di giornale e atti del processo. Sotto questo punto di vista, posso certamente concludere che mi restano maggiormente impresse le vere emozioni dell'autrice, quelle soggettive e coinvolgenti con cui riesce ad arrivare al cuore del lettore.

Arrivata in laboratorio, chi mi salutò con un ciao, chi con un cenno del capo, ma tutte con un sorriso. Penso di incoraggiamento. O forse di piccola, sadica soddisfazione del tipo "Vedi? è toccato anche a te, signorina!" Od una specie di mal comune, mezzo gaudio. Non lo so.

Nonostante lo scorrere del tempo in avanti, i capitoli sono numerati al contrario. Ho dato a questa scelta il seguente significato: la volontà dell'autrice di far scorrere il tempo in carcere come in una clessidra, facendo consumare al più presto la sabbia della sua reclusione. Potrei anche aver dato un'interpretazione errata a questa scelta, tuttavia la trovo interessante ed originale.

Ci sono episodi graffianti, che cercano di uscire da quel profondo buco nero ed io, con un calcio, li ho sempre rispediti dentro. Cercherò di non farlo più, sapendo già che sarà dura.

Il romanzo include scatti in bianco e nero relativi al processo, in cui compare anche la stessa autrice e permettono al lettore di essere, in qualche modo, "presente" anche in senso visivo nelle vicende.

Mi faceva un po' impressione, aveva lo sguardo di chi ha perso già ogni speranza, pur essendo troppo giovane per trovarsi in quella strada senza uscita.

Il tema della giustizia è molto importante in queste pagine. Si parla di una giustizia che c'è ma non c'è: viene presentata come un concetto facilmente plasmabile secondo il volere di ciascuno, secondo i suoi pregiudizi ed il suo modo di pensare. Per questo, c'è gente che non si fa alcuno scrupolo a mettere in galera delle persone innocenti senza neppure conoscerle ed ascoltarle a fondo, proprio perchè segue un suo personale concetto di giustizia che non è tale per davvero.

A dimostrazione di quanto certa carta stampata possa essere una macchina del fango e di come certi giornalisti scrivano esprimendo opinioni personali degne, al più, di una comare, nello stesso articolo di descrive con disprezzo l'imputata.

Il carcere segna profondamente la vita dell'autrice, cambiandola irrimediabilmente, spingendola a cercare nella vita una vera giustizia, senza pregiudizi, che sappia usare correttamente "la sua benda sugli occhi e la spada nelle sue mani".

Questo è uno degli aspetti più insopportabili dello specchio deformante del carcere. Orribile e ripugnante.

In conclusione, è un libro che, con dovuta attenzione e molta concentrazione, dovrebbe essere letto da tutti, per approfondire parte della storia italiana ed imparare a giudicare il prossimo in modo veramente giusto.

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